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Storia - Suore Ancelle della Carità

Cenni storici

Donna forte e autorevole, pragmatica perché attenta a ogni necessità,  di profonda vita interiore e  dallo sguardo sapiente perché contemplativo: così si presenta Paola Di Rosa, giovane bresciana nella prima metà dell’ottocento, figlia di un tempo carico di tensioni sociali e politiche, di povertà umane e di ricerca spirituale.
«Collocata nel contesto del suo tempo, risalta come intimamente legata agli avvenimenti, ai fatti, ai problemi, alle ansie dello stesso, così che la sua vita e la sua opera sono con esso in perfetta consonanza».
Nata il 6 novembre 1813 dalla nobile famiglia Di Rosa, sesta di nove figli, Paola Francesca Maria ereditò dal padre, il cavalier Clemente (1767-1850), l’attenzione alle problematiche sociali del territorio e l’acuta intraprendenza per risposte efficaci e lungimiranti; educata dalla madre, contessa Camilla Albani (1786-1824),  fin dalla tenera età, alla cura amorevole dei bisognosi e a una religiosità profonda, Paola celebrò il sacramento della riconciliazione e della cresima nel 1820.
«Da quel momento Paola confessò alla mamma che la invidiava, quando la vedeva ricevere l’Eucaristia. […] Allora la mamma le insegnò la Comunione spirituale, e Paola usò di quel mezzo per essere vicina a Gesù». «Questa faceva non solo ogni giorno ma anche più di frequente, mettendo le sue delizie nelle Visite a Gesù Sacramentato, che entrò subito come la cosa più cara nel regolamento di vita che si prefisse a 8 anni».
Fin dalla fanciullezza manifestò, quindi, una grande attrazione verso l’Eucaristia, che riceverà nella Pasqua del 1823 e «ottenne con sua grande consolazione di poterla frequentare ogni 15 giorni, cosa che allora era affatto singolare. Dicono che il vederla all’altare, come un Serafino d’amore rapiva l’attenzione di tutti gli astanti». La sua giornata veniva scandita dalla S. Messa, prima della scuola impartita dai precettori in casa, dalla visita al SS. Sacramento dopo pranzo, e da continue invocazioni attraverso piccole giaculatorie. Si delineava così un’identità precisa, che andrà manifestando un carattere nel contempo forte e dolce durante il periodo dell’educandato (1824- 1830), presso il monastero delle Visitandine, dove venne posta dal padre in seguito alla morte prematura della mamma (1824). 

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Accanto all’impegno assai proficuo nello studio, Paolina si rivelava attenta ai bisogni delle compagne del collegio e dei poveri che chiedevano aiuto al monastero. «Tutto dava agli altri, nulla teneva per sé», afferma il biografo, precisando che «il segreto di codesta vita, già così perfetta, veniva dalla grande pietà che l’animava».
L’Eucaristia rimaneva  il centro delle sue giornate: ottenne di far visita al SS. Sacramento più frequentemente delle sue compagne, ricevendo anche il permesso di mezz’ora di adorazione giornaliera negli ultimi due anni di permanenza. Testimoniano le deposizioni raccolte per il processo di beatificazione: «non contenta della semplice visita solita a farsi dinanzi il SS. Sacramento, vi restava ogni giorno per mezz’ora; e, richiesta una volta dal direttore cosa dicesse al Signore in tale occasione, rispose ingenuamente: “Chiedo qualche cosa da patire”».
Trascorso il tempo dell’educazione, durante il quale ebbe modo anche di chiarire a se stessa l’indirizzo da dare alla sua vita, Paola rientrò in famiglia con un preciso programma quotidiano di preghiera e impegno, concordato con mons. Faustino Pinzoni, suo direttore spirituale: «Si stabilì col consiglio del Confessore un metodo di vita piissimo e rigorosissimo; si alzava per tempissimo anche d’inverno, faceva in casa un’ora di orazione mentale e mezz’ora di vocale, poi si recava alla Chiesa, ordinariamente in Cattedrale; là ascoltava due o più Messe, facendosi la S. Comunione… Sulla sera impiegava ogni dì un’ora per la visita al SS. Sacramento; in tutta la giornata si esercitava nella presenza di Dio ed in atti di pietà».
Paola attendeva ai compiti di sorveglianza, alla cura della servitù e ai vari servizi affidatile dal padre per il buon andamento della casa paterna, senza trascurare la preghiera – ben sette ore al giorno – anche se spesso faticosa. La sua vita trascorse, in questi  anni, tra gli impegni domestici e quelli della carità nascosta verso tutti coloro che bussavano al portone dei Di Rosa. Paola non partecipava alla vita mondana della società e si asteneva dalle attrazioni che avrebbero potuto distoglierla dal suo progetto di vita. Il cuore si stava già ben orientando così che, quando le si presentò l’offerta di un possibile matrimonio, la sua risposta negativa fu schietta e precisa.
All’amore amore umano, Paola antepose l’amore del Cristo:  «A meno di diciotto anni, Paola chiese e ottenne dal suo confessore il permesso di fare voto di castità perpetua».
Già in questo primo tratto di vita si delinea la fisionomia della futura Fondatrice. L’apertura di cuore verso i bisogni concreti delle persone  era sostenuta e alimentata dalla ricerca interiore di comunione con Cristo, soprattutto il Cristo Crocifisso perennemente presente nell’Eucaristia.

Nei medesimi anni Paola si occupava dei poveri a Capriano del Colle, la tenuta estiva della famiglia Di Rosa, così come delle operaie della filanda paterna in Acquafredda: ovunque Paola era attenta a scorgere le necessità materiali e spirituali della gente.
Assieme al pane materiale, procurava e offriva i mezzi per una formazione cristiana: organizzava missioni popolari, esercizi spirituali al popolo, scuole di catechesi per le ragazze, l’oratorio parrocchiale;  di tutto si faceva carico assumendone le spese,  sostenendo con sapienza cristiana e passione apostolica ogni iniziativa.
Nel  giugno 1836 scoppiò a Brescia il colera che dilagò ben presto in misura incontenibile. I nobili preferivano lasciare la città per rifugiarsi nelle campagne. Paola non esitò invece ad accogliere l’evento che le si presentava come una chiara chiamata divina. Scrisse al padre, dopo essersi consultata con il suo direttore spirituale:
«Sono a pregarvi di una grazia. Ve la chiedo in iscritto, non per mancanza di confidenza a parlarvi; ma perché non mi si chiudan le parole fra le labbra con una vostra pronta negativa. Sì, la grazia che vorrei da voi ottenere ve la chiedo per amor di Gesù Cristo. Deh! Non me la negate. Il mio vivissimo desiderio sarebbe d’approfittare del mezzo che Iddio mi dà d’aprirmi il Paradiso col praticare l’atto di carità in assistere all’ospitale le povere colerose. Lasciate che mi dedichi al servizio di queste povere infelici. Voi fate al Signore il sacrificio della vostra Paolina; io il farò della mia vita».
Entrava nel lazzaretto il 24 giugno 1836 con la nobile Gabriella Echenos Bornati (1798 – 1844).
La strada delle carità andava delineandosi: il servizio gratuito e coraggioso verso i colerosi apriva nuovi campi di apostolato.
Terminato il colera, Paola con altre compagne continuò a frequentare l’Ospedale come visitatrice finché nel 1840, ottenute le approvazioni  civili e religiose grazie anche al prestigioso sostegno di Clemente Di Rosa e di Mons. Faustino Pinzoni (1779 – 1848), diede avvio alla Pia Unione delle Ancelle della Carità.
Il primo gruppo,  costituito da trentadue Ancelle di varia provenienza, iniziò così la sua missione, come attesta la lettera inviata dalla stessa Fondatrice alla  Congregazione dei Vescovi –  Roma l’11 marzo 1847:
«Sul finir dell’aprile del 1840, ci presentammo in compagnia del sacerdote nostro Direttore spirituale a ricevere la santa benedizione dal nostro Prelato ed abbiamo cominciato a vivere collegialmente in apposito locale preso interinalmente a pigione e nel giorno 18 maggio siamo entrate nello Spedale a cominciare il nostro servizio».

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Quel 18 maggio 1840 segnò così l’avvio della Pia Unione delle  Ancelle della Carità,  riconosciuto  Istituto religioso da Pio IX, con decreto del 23 dicembre 1847. Tra vicende alterne di apertura di nuove case (in Cremona – 1841; Manerbio – 1844; Montichiari – 1846) e difficoltà di vario genere, il nascente Istituto cresceva raggiungendo in breve tempo il centinaio di membri.
La presenza delle Ancelle della Carità era sollecitata da più parti e da varie città: accanto all’assistenza ospedaliera (in ospedali e manicomi) – prioritaria missione del nuovo Istituto -, si aprirono successivamente case per giovani a rischio e si accolsero richieste per l’educazione femminile in scuole – anche per sordomute -, collegi, orfanotrofi, parrocchie…
«Dopo i Moti del ’48, che trovano le Ancelle disponibili nei campi di battaglia, l’Istituto si estende rapidamente senza incontrare particolari difficoltà, perché l’attività delle Ancelle raccoglie ormai ampi consensi e l’imminente erezione canonica pone fine alla provvisorietà che l’aveva caratterizzata finora».
Le fondazioni si susseguirono instancabilmente: Travagliato (1850), Lonato (1850), Salò (1850), Orzinuovi (1851), Mantova (1851), Cremona (1852), Udine (1852), Ragusa (1853), Cividale (1853), Carpenedolo (1853), Trieste (1855), Spalato (1855), Bussolengo (1855).
Paola Di Rosa era guida spirituale e organizzativa.
Ogni particolare veniva da lei seguito attraverso i numerosi viaggi e con un fitto epistolario avente vari destinatari: Ancelle, Vescovi, Parroci, Delegati imperiali, Direzioni amministrative…
Dai rapporti con le autorità fino ai fabbisogni più spiccioli di ogni comunità: nulla sfuggiva alla sapiente Fondatrice. Ma soprattutto Paola si preoccupava che ogni comunità potesse godere la presenza viva di Gesù nell’Eucaristia: «Nelle fondazioni voleva che alle sue figlie nulla mancasse del necessario, soprattutto poi che ci fosse il SS. Sacramento. Nei viaggi ad ogni paese che passava, salutava il SS. Sacramento, la Madonna e l’Angelo Custode del luogo».
Nel palazzo Mazzucchelli in Brescia, acquistato dal padre Clemente per la nascente istituzione e che diventerà la Casa Madre dell’Istituto, Paola il 13 maggio 1846  ottenne di custodire il Santissimo Sacramento nella cappella interna e il 18 giugno 1852  l’inestimabile dono dell’Adorazione eucaristica diurna perpetua: l’Eucaristia fin dalle origini dell’Istituto è la vera sorgente di carità per la missione delle Ancelle nei vari Paesi ove il carisma si è diffuso. 
Già nel cuore di Paola era sorto un interrogativo: «A me molte volte vien il pensiero. Chi sa – dico a me stessa – che il Signore non ci voglia in Lombardia, ma in altra parte del mondo ove sorge e fa progressi la fede?».
La morte prematura della Fondatrice, il 15 dicembre 1855, non arrestò il fiume della carità, ma consegnò all’umanità una Congregazione ormai ben solida e strutturata, che si espanderà in Italia, Croazia 1853, Albania (1927 – 1948), Svizzera (1958 – 2002), Brasile 1963, Germania (1970 – 2006), Ecuador 1984, Rwanda 1992, Bosnia ed Erzegovina (1995 – 2015), Romania (2002 – 2009) e Burundi 2002.
La carità eroica di Paola Di Rosa venne riconosciuta dalla Chiesa, che proclamerà Santa Maria Crocifissa il 12 giugno 1954. La sua festa liturgica si celebra il 15 dicembre.

Agenda

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